Dopo pochi mesi a Vienna ero felice di sentirmi integrata, potendo andare dal medico, capendo le sue indicazioni, destreggiandomi nella burocrazia e facendo la spesa, insomma aver capito le abitudini dei locali e potersi esprimersi in modo basilare nella lingua indigena mi sembrava sufficiente per sentirmi pienamente integrata in questa nuova terra.
Dopo un anno a Vienna ho capito che non saremo (tutti noi immigrati) mai veramente integrati. Il nostro primo pensiero sarà sempre nella nostra lingua, potendo scegliere opteremo sempre per la nostra cucina, non capiremo mai i giochi di parole ed i proverbi e soprattutto non saremo mai accettati pienamente dagli autoctoni che ancora ci guardano con sospetto, come noi Italiani facciamo con tutti gli stranieri.
A questo fine non serve a nulla avere una laurea o un dottorato, che semmai facilitano il processo iniziale, in ogni caso non è possibile andare oltre a questo primo stadio d'integrazione che più che integrazione si può chimera "pacifica convivenza" con un minimo rispetto reciproco, pur ritenendosi ognuno superiore all'altro per usi, costumi e storia. L'unione matrimoniale con un locale può aiutare, ma si resterà un diverso, nonostante l'amore del partner. La lingua resterà un ostacolo alla spontaneità. Un tedesco notava come la moglie giapponese cambiasse timbro di voce quando parlava la propria lingua o quella del marito. Anche noi siamo così, cambiamo pure la nostra postura parlando la nostra madrelingua o quella imparata. Se ci potessimo vedere e sentire in registrazione faticheremmo a riconoscerci.
Non è facile rassegnarsi a questa verità, ma una volta accettata ci si può tranquillamente godere il fatto di stare in un paese diverso dal proprio e dove molte cose funzionano meglio (vedi post sulla sanità). L'unica ombra è quel senso di non appartenenza, che flagella il povero immigrato. Tale sentimento non si può eliminare nemmeno ritornando in patria, perché a causa delle esperienze accumulate all'estero e della diversa mentalità acquisita non ci si sentirà mai più "a casa", ma di questo ho già diffusamente parlato.