Sunday, March 22, 2020

La nostra compagnia

Non ne posso più! Non di stare a casa, ma di sentire gente che non sa come passare il tempo, che si lamenta di non poter uscire, che s'inventa scuse pur di andare fuori. Non ne posso più degli appelli di personaggi famosi che sembra che per la prima volta scoprano quanto l'uomo sia fragile e quanto il tempo e le relazioni umane siano importante. Per tacere delle iniziative austriache che mettono a disposizione uno psicologo per la difficile solitudine e si preoccupano per il previsto aumento delle violenze domestiche. Non ne posso più di leggere di fantasiose teorie sull'origine e la diffusione del virus o di ancor meno provate cure miracolose. Sembra che la gente abbia paura di ritrovarsi da sola con se stessa e cerchi disperatamente delle distrazioni dal pensare a sé ed al silenzio esteriore. 

Il gatto dei miei in un momento di meditazione.
La sottoscritta è in qualche modo abituata a tale solitudine, sia perché mi è capitato in età adulta di prendere una malattia contagiosa e quindi di restare in isolamento per due settimane, sia perché ai tempi di Bxl la mia vita sociale era pari a 0.01 (ossia uscivo una sera ogni venti giorni). Inoltre ho sempre subito il fascino del ritiro, tipo convento, senza per forza esservi rinchiuse, ossia del tempo del silenzio, della lettura, della meditazione non in senso orientale. Non mi sono mai annoiata con me stessa, c'è sempre qualcosa d'interessante da scoprire. Proprio su queste pagine ho raccontato più volte di tali momenti di riflessione: 2011a, 2011b, 2014, 2015 e 2019. Inoltre, da emigrata, sono pure abituata a mantenere i contatti con parenti ed amici tramite videochiamate e chat.

A dirla tutta, non ho nemmeno tutto quest tempo libero. Non sono in vacanza, né in malattia (per fortuna). Semplicemente lavoro da casa. Mantengo i ritmi quotidiani, compresa la sveglia. Risparmiando i tempi di viaggio e riducendo le pause con i colleghi, mi trovo più tempo per suonare la sera, per la gioia dei miei vicini. Rimpiango solo la mia sedia nuova in ufficio, molto più comoda di quella di legno Ikea del mio soggiorno, il mio microscopio e qualche pranzo già pronto nella cantina vicino al museo. Ho la fortuna di lavorare nella scienza a dipendenze dello stato, ciò significa che lo stipendio (per il momento) non viene decurtato e che molte delle mie mansioni possono essere svolte da remoto.

Il mio solitario microappartamento in  un soggiorno in Giappone.
Pensiamo a chi non ha la stessa fortuna, come i colleghi le cui aziende sono costrette a chiudere, ai musicisti e tutti coloro i quali lavorano nello spettacolo, improvvisamente senza ingaggi, a chi lavora nella ristorazione o nel commercio ed ai liberi professionisti. Pensiamo a chi è costretto a lavorare lo stesso, tra mille difficoltà in più rispetto al solito. Pensiamo a chi è comunque costretto in isolamento per mesi, magari a causa di una malattia o perché sotto scorta o perché in un paese in cui imperversa una guerra. Non si tratta di guardare chi sta peggio, ma di saper apprezzare e sfruttare in positivo ogni istante che ci è donato. Abbiamo un'occasione unica per migliorarci, almeno nel modo in cui vediamo noi stessi. Senza scappare e senza rifugiarsi in pretesti.

Monday, March 2, 2020

10 anni, 10 years!

Sono passati esattamente 10 anni da quando ho preso il biglietto di sola andata per l'estero. Rispetto ai primi tempi, non mi mancano più le abitudini che avevo, la routine del paese di origine. Altro record, l'appartamento in cui vivo ora è quello in cui ho vissuto più a lungo (quasi 4 anni) dopo la casa dei miei in Italia.

In questi 10 anni ho cambiato due nazioni e quattro appartamenti. Ho viaggiato molto in Europa, in treno ed in aereo, scoprendo nazioni in cui non ero mai stata. Sono andata anche fuori dall'Europa, per lavoro, capendo quanto profondamente europeo sia ognuno di noi, per la storia che ci ha forgiato. Sono stata malata ed ho sofferto la solitudine del migrante, ma ho anche preso parte a diverse iniziative tra italiani. Ho fatto amicizie che durano oltre le distanze. Ho conosciuto persone con cui ho percorso solo un breve tratto di questa esperienza ed altre con cui mi confronto sin dal primo anno. Ho imparato altre lingue e di conseguenza un altro modo di pensare. Sono estremamente diversa dall'insicura ragazza che ha lasciato l'Italia per lavoro 10 anni fa. Né migliore né peggiore, probabilmente, semplicemente un'altra, come parecchi coetanei, nella società mobile di oggi.

Col tempo ho imparato ad amare Vienna, ma sono dovuto passare da Bruxelles per capire che volevo tornarci. Senza esagerare, Vienna ha parecchi difetti e comprendo che possa essere odiata da molti, al pari di come io ho detestato Bruxelles, però per me resta la città in cui ho scelto di stare. A fagiolo capita un articolo di "Der Standard",  che presenta un sondaggio: quando ti sei sentito "a casa" a Vienna? Per questa festa dei 10 anni, posso rispondere alla domanda. Ci sono stati parecchi momenti in cui mi sono sentita "a casa" in questa città. Dal primo istante per quanto riguarda la pulizia, l'ordine ed i mezzi pubblici. Col tempo, quando ho capito di lamentarmi in continuazione come i viennesi (e le mie critiche hanno pure un seguito, nel senso che le segnalazioni di disfunzioni o errori vengono prontamente prese sul serio). Quando ho scoperto con sorpresa di non essere l'unica che parla da sola (no, pensa a mezza voce) per strada o che canticchia arie sacre e brani d'opera lungo i marciapiedi per farsi compagnia. Quando incontro locali che hanno un titolo scientifico ed uno musicale (o almeno un interesse tale da saperne abbondantemente) e con cui posso saltare da un argomento all'altro senza farmi riguardi. Quando do informazioni sulle strade e sulle fermate della metro e del tram cose se avessi sempre vissuto qui. Quando ho fatto la conversione della patente. Quando ho iniziato ad usare parole dialettali viennesi perché mi ricordano quelle padovane, fino a tenere un seminario scientifico in tedesco parlando velocemente come in italiano e riuscendo persino a fare un paio di battute (cosa che invece non ero ancora mai riuscita a fare nella mia lingua).

Per ognuno è diverso. Ci sono connazionali che dopo più di 10 anni a Vienna sono rientrati in Italia. Non vi ci sono mai sentiti "a casa". La sottoscritta, invece, sa di essere straniera e che nemmeno in una vita sarà mai pienamente integrata, ma si sente anche nel proprio ambiente naturale. Come festeggerò questo anniversario? Andando al lavoro, in una città divisa tra fatalismo e paura. Niente di speciale.