Sunday, March 26, 2017

Buda e Pest in un giorno

Anni trascorsi a Vienna senza aver mai visitato le capitali europee a pochi passi dalla città. Per vedere Praga ho dovuto aspettare un convegno nel 2015. Finalmente, grazie ad un'amica viaggiatrice, mi sono concessa un assaggio di Budapest con una gita di un giorno.

Viaggio in pullman, con la nota low cost dei collegamenti internazionali. Il treno permette più libertà di movimento ed impiega solo 2h40 rispetto alle 3h del bus, ma il costo non è nemmeno paragonabile. Inoltre si tratta di mezzi nuovi, dotati di tutti i comfort, compresa toilette a bordo e wi-fi gratuito. Partenza alle 7 e ritorno per le 22. Dalla stazione degli autobus, una decina di minuti di metropolitana ci ha portate nel centro di Pest. La metropolitana era decisamente datata, tanto da farci ripiombare tra gli anni ’70 ed ’80 nell'est socialista. Ciononostante efficiente ed economica, con numerosi controlli nelle stazioni.
tipica meta turistica per fotografare il Parlamento dall'altra sponda del Danubio
Il giro turistico è partito e si è concluso a Pest, dedicando a Buda una bella passeggiata attorno l'ora di pranzo. Pest ha tutte le caratteristiche della capitale coloniale, con piazze ariose, viali alberati e circondati da palazzi decorati, zone pedonali che accostano antico e moderno, facciate liberty e neo gotiche, fino ad una cattedrale barocca (guarda caso dedicata a Santo Stefano!) ed a numerosi parchi quasi disneyani. Buda, invece, abbarbicata sulla collina a picco sul Danubio, cerca di dare l’impressione di capitale storica ed imponente, con finta fortezza, finta cattedrale antica, finti palazzi reali, finto centro storico medievale. In realtà qualcosa di antico è stato preservato, ma inglobato in una marea di pietra di fine ‘800 (ringraziamo di questo gli Asburgo) che cerca di imitare altre epoche. Tipico esempio il capitello romanico racchiuso nella kitchissima chiesa di San Mattia, ove l’evento per eccellenza fu l’incoronazione di Carlo d’Asburgo nel dicembre del 1916. Tra tutto questo camminare, prendere mini-bus pieni all’inverosimile, girare tra metropolitane storiche e dalle deliziose stazionicine decorate con legno e maioliche a quelle post-comuniste, l'amica ed io ci siamo pure concesse qualche piccola pausa per riempire la pancia con snack locali, compresa una fetta di torta… in stile viennese. Prezzi molto economici ovunque, rispetto l’occidente, anche se i locali sembrano iniziare a capire il valore del turismo internazionale mettendo attrazioni a pagamento ovunque. Il tutto accompagnate dalla musicalità della lingua locale, completamente incomprensibile.

Impressione finale: città pulita, dignitosa, carina. Merita una seconda ed una terza visita, con più tempo, specialmente per i musei che in questo veloce giro non ho potuto visitare. Nella mia esperienza accademica ho incontrato parecchi ungheresi, tutti gentili, ben educati, modesti. Nella capitale ho notato un atteggiamento quasi ostile verso i turisti, nonostante la gentilezza non sia mai venuta meno. Conto, quindi, di tornare in Ungheria, ma per visitare paesini di confine ove il turismo non è così pesante come a Budapest, ove si possa ancora conoscere l'originale, lontano dalle vie dello shopping, uguali in tutte le capitali europee.

Saturday, March 11, 2017

Pane e cipolla

Mia madre cita spesso un modo di dire siciliano, che suona più o meno "mangio pane e cipolla ed entro egualmente", riferito al gatto che facendo finta di nulla compie azioni proibite cinque minuti prima, come saltare sulla credenza o giocare con una bottiglia vuota. L'idea del pane e cipolla è di un cibo povero, economico. In passato in Sicilia il pane non mancava, si faceva anche in casa, ma il companatico era merce rara e costosa, per cui ci si arrangiava con quel che c'era, principalmente verdura o frutta e talvolta anche solo con un goccio d'olio d'oliva e spezie. Non lontano dallo Schmalzbrot che servono qui assieme al vino, ossia una fetta di pane nero condito con strutto spalmato e cipolle. In Veneto, anche il pane, inteso come panini bianchi, era difficile da reperire per i poveri, per cui si sostituiva regolarmente con la polenta. Polenta e "tocio", ossia col sugo che profumava di carne o pesce ma di cui raramente ce n'era l'ombra, oppure con la soppressa (un tipo d'insaccato) o il formaggio nei giorni di abbondanza, o semplicemente col latte, anche a colazione. Almeno da quanto ricordo dei racconti dei miei nell'immediato dopoguerra, quando faticosamente l'Italia cercava di rialzarsi.

Da qui

Questa immagine, del cibo povero, del pane e cipolla, per me significa anche cena sbrigativa. Nonostante possa permettermi cibi più sofisticati, ogni tanto opto anch'io per pane e cipolla, perché mi piace. Ho personalizzato la ricetta. Cuocio le cipolle in padella con un goccio invisibile d'olio, un pizzico di sale ed un po' d'origano, poi le verso su pane tostato, talvolta con un formaggino spalmatoci sopra o con del formaggio in fette. Ovviamente il tutto mandato giù con mezzo bicchiere di rosso. Un piatto che riempie anche se non il massimo in fatto di valori nutritivi. Appunto, un piatto povero.

Gli italiani che arrivano all'estero di questi tempi si dividono secondo me in due categorie, quelli che mangiano "pane e cipolla" e quelli che non lo fanno. La denominazione "che mangiano pane e cipolla" non si riferisce certo all'alimentazione, ma all'atteggiamento. Si tratta di giovani e non più giovani connazionali che si spostano in un paese straniero senza lavoro e senza conoscerne la lingua, ma che da subito si adattano a lavorare come camerieri o lavapiatti, magari sfruttati da altri italiani, mentre in parallelo si pagano corsi intensivi di lingua e cercano di evitare i connazionali per immergersi totalmente nel nuovo mondo. Queste persone fanno enormi sacrifici ma alla fine ottengono quel che meritano, passando a lavori via via più qualificanti e con il tempo costrundosi una vita serena, con casa e famiglia. Quelli che si rifiutano di mangiare pane e cipolla, invece, arrivano egualmente senza lavoro e senza conoscere la lingua, ma pretendono l'aiuto degli altri già sul posto da qualche anno, poi si lamentano per il costo della vita in città, per lo sfruttamento subito dai connazionali, per le abitudini "barbariche" dei locali e per i sacrifici che non vogliono fare, illusi da un'idea di estero simile ad un paradiso ove chiunque venga accolto col tappeto rosso. Quest'ultima categoria di persone in genere non resiste a lungo e prima o poi torna in Italia, ove magari sarà costretta egualmente a mangiare "pane e cipolla", ma almeno immersi nella propria cultura.

La sottoscritta appartiene ad una terza categoria di connazionali emigrati, ossia quelli che lo fanno con un contratto prima di partire e che si spostano per scelta in un paese straniero. Mancando il fattore disperazione, anche se la scelta è stata comunque obbligata, non si arriva a questi estremi, ma il concetto del "pane e cipolla" come di atteggiamento volto all'integrazione ed al sacrificio resta.

Thursday, March 2, 2017

Nozze di rame... con l'estero

Ieri ho festeggiato 7 anni di vita all'estero! Se fosse un matrimonio diremmo "nozze di rame". In genere si crede che il VII anno sia quello della crisi di coppia. Nel mio caso, il rapporto si è stabilizzato ed è maturato col tempo, quindi al momento posso dirmi piuttosto fiduciosa.

Questo matrimonio si doveva fare. Per certi versi è stato "combinato", o meglio forzato, perché non avevo molte altre alternative. All'inizio, come sempre, c'è stata una grande passione, travolgente. Tutto all'estero era infinitamente migliore rispetto all'Italia. Inoltre Vienna era la città dei sogni, vista da turista e rivista poi nel telefilm Rex. È seguita una fase di sconforto e delusione per la scoperta della vera anima del posto, ben nascosto sotto la facciata rococò. L'insofferenza è sfociata in una nuova partenza, verso Bruxelles. Anche in questo caso la meta è stata dettata dal lavoro, non da una scelta consapevole. Qui ho sviluppato proprio repulsione per la città ospite, però rivalutando Vienna. Infine, tornata nella capitale austriaca, la relazione con l'estero è diventata solida, come in un matrimonio datato, in cui l'affetto ed il rispetto reciproci permettono di convivere serenamente, apprezzando ogni istante. Anche nella prospettiva di un nuovo trasloco. Chi può saperlo? In ogni caso, il fuoco della passione iniziale è passato. Qualche battibecco c’è sempre, ma di modesta entità. Si fa pace subito.
 
il confine
E l'ex, ossia l'Italia? È finita? No, non del tutto. O meglio, le voglio ancora bene. Come potrei dimenticare il posto che mi ha visto crescere e che mi ha dato la lingua e molto altro?! Resta sempre un senso di amarezza per la relazione forzatamente conclusa. Nonostante tutto col tempo si era raggiunto un compromesso. Si andava d'accordo. Un po' con rassegnazione da parte mia, devo ammetterlo. La rassegnazione di chi vorrebbe cambiare le cose in meglio ma si deve scontrare ogni giorno con problemi radicati nella cultura locale. Si è rimasti amici. Torno in Italia volentieri da turista, oltre che per rivedere i miei. Se loro si trasferissero altrove, probabilmente visitare il mio paese d’origine perderebbe di senso. A che pro? Resterebbe un bel ricordo, o meglio un ricordo che si abbellisce col tempo, rimuovendo le esperienze spiacevoli. Non è mai stata facile, non ci siamo presi completamente sin dall’inizio. Un minimo sospetto è rimasto da entrambi i lati. Mi aspetto sempre la delusione dall’Italia e forse nemmeno lei mi ha mai considerato sua cittadina al 100%, nonostante il passaporto, la lingua e talune abitudini.

Come festeggio questo importante traguardo? Con un lusso unico, ossia una lavatrice in casa. È stata un’avventura, come sempre all’estero, ma alla fine ce l’abbiamo fatta! Uso il plurale per ricordare amici e colleghi che mi hanno sostenuto ed aiutato e senza i quali questo regalo sarebbe stato meno piacevole. Quest’anno l’anniversario cadeva di mercoledì delle Ceneri, per cui ho aspettato oggi per ricordarlo pubblicamente. Buon inizio dell’ottavo anno all’estero a me!