Saturday, June 17, 2017

Berlin and Italian scientists abroad

It is written. At least once a year, I must go to Berlin. Doesn't matter where I am, Vienna or Brussels, Berlin waits for me. The reason of the journey might be different: a conference, a cooperation, some instrumental analyses, a job interview, a class, etc. Sometimes the final destination was Potsdam, not Berlin, once it was Dresden, but I flew anyway to Tegel. This year I went to Berlin for giving a talk at the Natural History Museum. It was the fourth time in such an event. As the day after my talk was a holiday in Austria (Corpus Domini), but not in the Lutheran part of Germany, I decided to stay one day longer in Berlin, just to enjoy the city.

500 yrs after the Reformation
I do like Berlin. There are many features that make this city unique. Such as the smell of railway in the underground stations, the kindness of the local people, the feeling of continuous activity in a place that seems never to sleep, the quietness of the house blocks, the abundant gardens, the signs of the recent history, etc. Nevertheless, for the first time I felt happy to go back to Vienna after this short visit, saying to myself "finally at home". Berlin has been my dream place for years, but now I'm happy where I am. I don't wish to change. It means that I love to go to Berlin, but I don't blame the destiny for not having gotten a job there. It was not written, probably. I felt "Austrian" during my stay because people had fun of me due to my accent (thanks Vienna! very likely also the grammar mistakes in German have contributed to this impression) and because during the mass I recognised some Austrian church songs. By the way, even though the songs where austrian and 100% catholic, the speech sounded quite lutheran. It's Berlin. Like the well developed public transit network: mostly trams in the former eastern part of the city and mostly underground in the former western part.

Berlin wall memorial.
Italians everywhere! Also in our institute, in Vienna, the Italian community of post-docs is growing. In this case, people from Padova everywhere, or better, in Berlin. Some years ago, I met here a schoolmate of the time of the university, a paleontologist, who was forced to leave Italy with his wife to stay in science. Now he works in Switzerland. But his presence has been "replaced" by an astrophysicist from Padova, a girl who did her PhD in cooperation with a professor of mine and who also was used to play the organ in the church. I was happy to meet her in Berlin, to spend some time with a friend, to talk again about the typical parish life in Padova, and to meet also her mother. On the other hand, I was sad realising that she had to leave Italy, too. She's brilliant, she won a Marie Curie grant.  Italy doesn't change. Italy spends a lot of money to train good scientists and then lets them leaving, bringing European money to other nations, increasing the publication rate of foreigner institutes, being exploited for what they can offer. This is the point. We cannot go back, but we have a few chances to stay where we are. When a permanent position is available, a local is preferentially hired, perhaps someone who has spent years abroad, for a better training. Hiring someone with another nationality is too demanding in terms of bureaucracy, language, and mentality. We are trapped. Like behind an ideal wall, we cannot stay, we cannot go back. We can just live the instant.

Friday, June 9, 2017

Festa della Repubblica Italiana a Vienna

Il 2 giugno in Italia si ricorda il referendum che nel 1946 sancì la fine della monarchia e l'inizio della repubblica, voto al quale parteciparono per la prima volta anche le donne. Paradossalmente molti connazionali non ricordano il motivo di questa ricorrenza, pur probabilmente avendola studiata sui banchi di scuola. Sono passati anni ormai da quando fu reintrodotta come giorno di ferie. Guardando una carta europea ci rendiamo conto di quanti regni ci siano ancora, Spagna, Belgio, Olanda, Danimarca, Regno Unito, Svezia, Norvegia... È importante ricordare che noi, invece, abbiamo deciso per la repubblica e non ci siamo pentiti. Ovviamente in Austria il 2 giugno non si festeggia nulla, ma ogni anno l'Ambasciata organizza una festa a palazzo Metternich per gli Italiani in città. Non tutti, solo alcuni, chi viene invitato. Si tratta dunque di un evento esclusivo. Quest'anno, una collega ricercatrice veneta ha ricevuto l'invito per due persone e ha gentilmente pensato di portarmici. Quale onore! Finalmente potrò festeggiare il 2 giugno, sentendomi orgogliosa di essere italiana, pur se all'estero.

Le nostre bandiere affiancate in una bancarella.
Povera illusa! La delusione è iniziata con la lunga coda all'ingresso, con un cartello che invitata a "pepare" gli oggetti metallici sul tavolini accanto al metal detector. Pazienza, il cartello era stato probabilmente vittima di qualche correttore automatico. Certo, proprio all'Ambasciata d'Italia una svista così?! La festa era anticipata al I giugno sera, ma l'emozione era la stessa. Ho stretto la mano all'ambasciatore! Con un'ora di ritardo rispetto al programma sono partiti gli inni nazionali. Quello italiano è stato coperto dal diffuso chiacchiericcio. Non c'era una banda a suonare, semplicemente una riproduzione digitale. Eh no, questo non va, persino l'università si è permessa un gruppo di ottoni per l'inno ad una cerimonia di dottorato e qui in ambasciata non ci sono nemmeno un pianista ed un baritono italiani ad eseguire dal vivo il Canto degli Italiani?! Pazienza, conta l'emozione. Immaginavo visi commossi, mano sul cuore e cori da stadio. Macché, queste cose si fanno appunto solo allo stadio o al bar, quando gioca la Nazionale. L'inno austriaco non voleva partire. Solo al quarto o quinto tentativo siamo riusciti a sentirlo per intero. L'inno europeo ha avuto meno problemi. A quelli che si lamentano del ruolo della Germania all'interno dell'EU vorrei far presente che cantiamo una composizione di Beethoven, tedesco, su testo di Schiller, tedesco. Ecco finalmente il momento dei discorsi ufficiali! L'ambasciatore e le personalità presenti (dai rappresentanti della NATO a quelli dell'OSCE) hanno pronunciato solenni parole. Almeno credo, ma non sono riuscita a comprendere nulla, perché il resto del popolo continuava rumorosamente a borbottare, bellamente ignorando la parte istituzionale della ricorrenza. Le uniche parole che tutti hanno udito sono state "il buffet è aperto" e questo ha scatenato l'arrembaggio alle pietanze. Per fortuna la collega ricercatrice che mi aveva invitata ha proposto di andar a cenare fuori e così siamo uscite da quella bolgia.

Palais Metternich (da qui)
Non sono stata affatto delusa dall'organizzazione della serata, studiata nel migliore dei modi, ma dal comportamento di alcuni connazionali che mi ha fatto vergognare della mia origine. Mi resta l'amaro in bocca di un'occasione perduta. Avrei voluto sentire le parole dell'ambasciatore, avrei voluto potermi commuovere alle note allegre del nostro inno ed alla vista del tricolore, avrei voluto sentirmi onorata di poter conoscere persone così importanti nei rapporti tra il nostro paese e l'Austria. Niente di tutto questo è stato possibile. Ricordo un evento organizzato dalla camera di commercio austriaca a Bruxelles, con interessanti considerazioni sul ruolo di ogni nazione all'interno dell'Unione Europea, sulla storia dell'Austria, sulla politica interna, etc. Il cibo era stato l'ultimo dei pensieri. Come agli incontri al museo di storia naturale a Vienna. Ci si va per i discorsi, non per il bicchiere di vino finale. L'unica nota positiva della serata in ambasciata è stato scambiare una parola col gentilissimo Marcello Farabegoli, curatore delle mostre d'arte ospitate a palazzo Metternich e conoscere altri italiani impegnati nella promozione del nostro Paese, dalla lingua alla cucina, dalla scienza (siamo sempre di più...) all'arte. Alla fine siamo quell'espressione geografica senza alcun peso politico che si è ironicamente comprata il palazzo Metternich.