Quell’informe rotolo di carne, talvolta di dubbia provenienza talvolta autentico e saporito agnello è stato testimone di molte microstorie di emigrazione e rispetto, indipendentemente dal fatto che me ne sia cibata o meno (preferisco di gran lunga i falafel, polpette di ceci). Il primo contatto è avvenuto a Padova, grazie ad un collega scevro da pregiudizi, ora pendolare tra i Paesi Bassi e l’Italia per conciliare lavoro (un miraggio nel nostro Paese) e famiglia.
versione berlinese del döner |
Vienna ha subito numerosi tentativi di conquista da parte dei Turchi, tutti fallimentari finché han tentato con le armi e gli assedi, ma l’ultimo, pacifico, è andato a buon fine. Gli anni in questa città sono stati fedelmente accompagnati dagli odori e dai sapori dei baracchini che vendevano pizza (?) e panini con kebab alle stazioni della metro, aperti fino a mezzanotte, dei ristoranti turchi, dei panifici e dei colorati mercati. I venditori di strada più di qualche volta hanno salvato il mio pranzo (come un 8 dicembre costretta in laboratorio, quando pure il supermercato aperto la domenica era chiuso) o la mia cena (quando tornavo tardi col treno o l’aereo da un weekend a casa). Il ristorante turco dalle parti del Brunnenmarkt ha visto feste di dottorato, compleanno, l’iniziazione alla cucina turca dei miei genitori (prima scettici, poi entusiasti), gli sfoghi con un colleghi ed ospiti di passaggio, etc. A Vienna ho scoperto il börek, un rotolo di pasta fillo ripieno di varie prelibatezza, il mio preferito con formaggio di capra e spinaci. Un’amica di origine albanese mi portò nel paradiso del börek, dalle parti di Thaliastraße, per uno degli ultimi pranzi da residente in città. L’episodio più rilevante è, però, la serata trascorsa con una collega tedesca in un posticino vicino all’uni. Si era messa in testa che prima della Quaresima dovessi far provvista di carne e così mangiando e bevendo birra (tranquilli! senza esagerare, una a testa) abbiamo fatto l’una chiacchierando in un misto tra inglese e tedesco. Mi confidò la sua travagliata storia e parlammo di tutto. A dispetto della presunta freddezza dei tedeschi, effettivamente rigidi sul lavoro (manco una battuta o un sorriso!), basta poco per scalfire la loro corazza ed essere testimoni di gesti di tenerezza e spontaneità uniche. Talvolta talmente ingenui e genuini da commuovere.
Berlino è in qualche modo il luogo di nascita del döner e finora resta il posto ove abbia assaporato le versioni migliori anche di "falafel im Brot". Più di una volta mi sono trovata ad atterrare dopo le 22, quando le cucine dei ristoranti locali sono chiuse, e quindi dover ricorrere al “kebabbaro” pur di mettere qualcosa di caldo nello stomaco, ma nella tranquillità della mia stanza in pensione. Una volta mi sono cimentata nel tentativo di spiegare ad un venditore che in Italia “cippole” e “cipolle” sono cose diverse. Nel suo menu c’era la pizza “tonno e cippole” e non ho potuto fare a meno di contestare l’errore. Con scarso successo, però. Colpa del mio e del suo limitato tedesco, finché non è intervenuto un signore dell’ex-Jugoslavia a far da interprete, con risultati davvero comici. Il turco non si fidava della mia autorevolezza, acquisita per nascita, in tema di lingua e prodotti italiani. Lo stesso venditore, in un’altra occasione, per farsi perdonare un errore di comprensione di un ordine, al momento di pagare regalò una birra a testa a me e ad un’altra collega patavina espatriata per ricerca.
Brussel/Bruxelles è piena di ristorantini da ogni parte del mondo, ma mancano i baracchini di kebab agli incroci. Almeno così credevo vedendo le insegne dei vari paradisi del kebab attorno alla Grand Place, ove sembrano concentrarsi i posti attira-turisti. Grazie ad un collega bulgaro ho trovato un panificio che fa l’equivalente del börek (non ho ancora imparato il nome locale), piatto che sembra molto diffuso nell’area balcanica. Qualche sera fa ho avuto l’ispirazione di cenare con falafel con una compaesana (veneta) da lungo tempo in questa città, lasciando a lei la scelta del locale. Ho scoperto che dalle parti di La Chasse/De Jacht c’è una miriade di kebabbari, che per questione di marketing hanno adattato la ricetta originale accompagnando ogni piatto con una porzione di patatine fritte. È stata l’occasione per una bella serata, tra falafel dürüm, patatine e chiacchiere sulla comune vita passata nella zona d’origine ma anche imparando alcuni fatti interessanti sul Belgio, cose che solo chi vive sul posto veramente (quindi escludo tutti gli burocrati) può conoscere.
L’aspetto peculiare di questi posti ove si vende il kebab non sta tanto nel prodotto in sé (come detto, preferisco altre pietanze), ma nell’atmosfera rilassata che vi si respira. Resto sempre colpita dall’ordine e dalla pulizia in luoghi che mi aspetterei sporchi e caotici. Sicuramente spesso l’igiene non sarà il massimo, ma avete mai visto le cucine di certi ristoranti apparentemente chic e molto costosi? Non ci sono camerieri che scocciano ogni 5 minuti per offrire qualcosa d’altro o per richiedere la mancia. Gli avventori sono quanto di più variegato possa esistere, dal signore in giacca e cravatta che prende un pranzo al volo al “barbone” che cerca un pasto economico. Nessuno viene cacciato o deriso o criticato. Questa è forse un’idealizzazione, la realtà talvolta è decisamente diversa, ma non può essere un caso che abbia sempre trascorso piacevoli momenti d’internazionalità in questi posti odorosi di spezie ed accompagnati dal sottofondo di chiacchiere in lingue diverse. In qualche modo, il kebab ha unito l’Europa (centrale) tanto quanto la TV ha unito l’Italia.
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