Quasi vent'anni fa presi la patente. Come tanti coetanei. Poco più di un mese di lezioni di teoria presso la scuola guida locale che ha dato la patente a mezzo paese, l'esame superato senza errori (d'altronde con la media che avevo al liceo era chiaro che studiare non mi fosse affatto difficile), un po' di più tempo per le guide, con l'esercizio a casa con una mitica Panda 750, l'ansia per l'esame superato per il rotto della cuffia ed ecco l'agognato giornale rosa in tre parti alla vigilia della partenza per le vacanze. A dirla tutta, ho imparato a guidare col tempo, con la pratica, con i consigli di papà, autista provetto. La patente ha sempre rappresentato un traguardo ed il primo passo verso l'indipendenza adulta. Purtroppo non va di pari passo con l'effettiva maturità intellettuale e c'è chi non vede l'ora di schiantarsi contro un platano con l'auto di famiglia. Ormai è una meta accessibile a tutti, costi a parte. C'è ancora chi crede al vecchio detto "donna al volante, pericolo costante", pensando che le femmine siano geneticamente meno portate alla guida dei maschi. In realtà è solo questione di pratica, tutti possono imparare, le donne di oggi pilotano aerei ed auto da corsa esattamente come i colleghi maschi, mentre ci sono maschi che non sono in grado di farsi due uova al tegame.
Vivendo in un paese, l'auto è fondamentale. I collegamenti con la città e gli altri paesi sono piuttosto carente, specialmente la sera (l'ultimo treno da Padova per anni era alle 21) e nel fine settimana. Prima di lasciare l'Italia usavo costantemente l'auto, per andare a suonare, per trovarmi con gli amici, per fare la spesa, per sbrogliare burocrazia, per visite mediche, etc. Solo per andare al lavoro continuavo a muovermi col treno, molto più pratico e veloce. Tutto il resto sarebbe stato impossibile o quasi senza un mezzo proprio. Per questo mi sorprende conoscere coetanei che non hanno ancora preso la patente e che non sono interessati ad averla, specialmente quando si tratta di maschi che vivono in paesetti sperduti. Altro discorso per cui, invece, non ha potuto conseguirla per le regole del paese di provenienza o perché non ha potuto permetterselo economicamente. Da quando vivo in una capitale europea non sento più la necessità di avere un'auto, sia perché i mezzi pubblici sono efficienti e convenienti, al contrario del parcheggio, e sia perché si trova a pochi passi tutto ciò di cui si ha bisogno. Ho ridotto, dunque, le guide ai ritorni dalla famiglia, quando ogni occasione è buona per fare pratica e non dimenticare come si guida.
Ciononostante, quasi alla scadenza della patente italiana, mi sono vista costretta a richiederne la conversione in quella austriaca, risiedendo a Vienna. È filato tutto liscio ed è stato molto più rapido di quanto immaginassi. Ho consegnato i documenti richiesti al Verkehrsamt della città, il quale ha provveduto a verificare la validità con la motorizzazione di Bolzano. In una settimana ho ricevuto la nuova patente, valida per 15 anni, pagando meno di quanto mi sarebbe costato un rinnovo in Italia. La nuova patente è in formato tessera. Per cavilli burocratici, alla faccia dell'equivalenza europea auspicata, ho perso il diritto di guidare l'Ape e mezzi affini, acquistando in cambio quello di guidare la moto, con alcune limitazioni. Sarà che qui di Ape non se ne vedono molte. Un piccolo cambio burocratico ma che mi ha fatto un certo effetto. Lasciare la patente italiana con la foto di quando avevo 18 anni è stato quasi come perdere un pezzettino d'italianità per acquistare un frammento di "austriacità". Una sciocchezza che che simbolicamente significa molto. Implica che il trasferimento all'estero sia più o meno permanente, almeno a lungo termine (non è una novità, non ho mai detto di voler tornare in Italia, sin dall'inizio) e che il mio paese mi riconosce un po' meno di prima, nonostante vi ci sia cresciuta e ne parli la lingua. In tempo di discussione di cittadinanza, tra ius soli in Italia ed offerta del passaporto austriaco agli altoatesini, convertire un documento nell'equivalente straniero non potendo più farlo in patria rappresenta a mio parere un passo decisivo verso l'assimilazione nel paese ospitante.
Vivendo in un paese, l'auto è fondamentale. I collegamenti con la città e gli altri paesi sono piuttosto carente, specialmente la sera (l'ultimo treno da Padova per anni era alle 21) e nel fine settimana. Prima di lasciare l'Italia usavo costantemente l'auto, per andare a suonare, per trovarmi con gli amici, per fare la spesa, per sbrogliare burocrazia, per visite mediche, etc. Solo per andare al lavoro continuavo a muovermi col treno, molto più pratico e veloce. Tutto il resto sarebbe stato impossibile o quasi senza un mezzo proprio. Per questo mi sorprende conoscere coetanei che non hanno ancora preso la patente e che non sono interessati ad averla, specialmente quando si tratta di maschi che vivono in paesetti sperduti. Altro discorso per cui, invece, non ha potuto conseguirla per le regole del paese di provenienza o perché non ha potuto permetterselo economicamente. Da quando vivo in una capitale europea non sento più la necessità di avere un'auto, sia perché i mezzi pubblici sono efficienti e convenienti, al contrario del parcheggio, e sia perché si trova a pochi passi tutto ciò di cui si ha bisogno. Ho ridotto, dunque, le guide ai ritorni dalla famiglia, quando ogni occasione è buona per fare pratica e non dimenticare come si guida.
Ciononostante, quasi alla scadenza della patente italiana, mi sono vista costretta a richiederne la conversione in quella austriaca, risiedendo a Vienna. È filato tutto liscio ed è stato molto più rapido di quanto immaginassi. Ho consegnato i documenti richiesti al Verkehrsamt della città, il quale ha provveduto a verificare la validità con la motorizzazione di Bolzano. In una settimana ho ricevuto la nuova patente, valida per 15 anni, pagando meno di quanto mi sarebbe costato un rinnovo in Italia. La nuova patente è in formato tessera. Per cavilli burocratici, alla faccia dell'equivalenza europea auspicata, ho perso il diritto di guidare l'Ape e mezzi affini, acquistando in cambio quello di guidare la moto, con alcune limitazioni. Sarà che qui di Ape non se ne vedono molte. Un piccolo cambio burocratico ma che mi ha fatto un certo effetto. Lasciare la patente italiana con la foto di quando avevo 18 anni è stato quasi come perdere un pezzettino d'italianità per acquistare un frammento di "austriacità". Una sciocchezza che che simbolicamente significa molto. Implica che il trasferimento all'estero sia più o meno permanente, almeno a lungo termine (non è una novità, non ho mai detto di voler tornare in Italia, sin dall'inizio) e che il mio paese mi riconosce un po' meno di prima, nonostante vi ci sia cresciuta e ne parli la lingua. In tempo di discussione di cittadinanza, tra ius soli in Italia ed offerta del passaporto austriaco agli altoatesini, convertire un documento nell'equivalente straniero non potendo più farlo in patria rappresenta a mio parere un passo decisivo verso l'assimilazione nel paese ospitante.
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