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Friday, November 8, 2024

Coro veneto in visita

Un anno fa mi sono rivista con un compagno di conservatorio e ci è venuta l’idea di organizzare uno scambio di visite tra il coro che lui dirige e quello in cui canto nel paesino in Niederösterreich. Si è cominciato subito ad organizzare la loro venuta, programmata per il "ponte dei Morti", o meglio, le Herbstferien austriache. Causa miei problemi medici dell'ultimo mese (vedi post precedente) ho dovuto "scaricare" la responsabilità dell’accoglienza ad amici e conoscenti austriaci che parlano italiano. La mia presenza ai loro eventi è stata in forse fino all’ultimo, ma poi sono riuscita ad esserci, anche se meno di quanto avrei voluto e solamente grazie ad un paio di antidolorifici aggiuntivi. Sarebbe stato però triste perdermi completamente la loro visita, così ho avuto anche uno stimolo in più a forzare un po’ la mia ripresa, in preparazione al ritorno al lavoro. Grazie all’efficiente organizzazione e ad un pizzico di flessibilità da entrambe le parti, ha funzionato tutto perfettamente. Plauso va soprattutto al presidente del coro in visita, la persona che si è stressata di più, coordinando contatti e prenotazioni… e pure dovendo cantare.

il duomo di Wiener Neustadt

Il coro veneto con gli accompagnatori, in totale un gruppo di quasi 50 persone, è arrivato di giovedì pomeriggio. Dopo la prima notte a Vienna, la comitiva ha girato la città con una guida organizzata da un’amica veneta che lavora in un’agenzia viaggi locale. L’indomani il coro ha potuto visitare Wiener Neustadt, cittadina di importanza storica ma purtroppo poco conosciuta al di fuori della regione, con la guida di due colleghi del coro del duomo, i quali oltre a sapere l’Italiano sono innamorati del Veneto e vi ci vanno più volte l’anno. Ho raggiunto il coro per pranzo, passando fluidamente dall’italiano al tedesco e viceversa, visto che non servivano traduzione. Alla sera, il coro ha offerto una meditazione musicale nel giorno dei defunti (Allerseelen) nel paesino vicino al mio. L’azzeccata scelta dei brani ed il buon livello del coro hanno emozionato sia il parroco sia i fedeli presenti, che erano non molti, ma più di quanti temessi. A differenza dei cori di qui, ove quasi tutti i coristi sanno leggere la musica (e sono impegnati in altri cori o suonano) e quindi in tre prove si mette su una mezza di Mozart, il coro ospite è formato da non musicisti che devono imparare le parti a memoria, a furia di prove su prove. Duro lavoro, ma il vantaggio è che hanno un vasto repertorio in testa senza bisogno di avere gli spartiti tra le mani. Dopo la meditazione, il nostro coro, grazie all’associazione contadini presieduta da una nostra corista, ha offerto una gustosa cena austriaca, innaffiata da fiumi di vino austriaco e da grappe fatte dalla corista di cui sopra. È stato un momento molto bello, in cui i Veneti hanno vinto i pregiudizi sugli Austriaci, in parte ereditati dai tempi della I guerra mondiale e dall’occupazione del XIX secolo e gli Austriaci si sono sciolti dal rigido formalismo grazie all’esuberanza italica (anche i Settentrionali sanno riscaldare l’atmosfera nelle condizioni giuste). La domenica, il coro ospite ha animato la messa con un classico "gregoriano" e con alcuni brani a cappella dalla meditazione della sera prima. A sorpresa, il sindaco del mio paesino ha regalato al coro una targa con il logo del comune e l’ha invitato a tornare, avendo sinceramente gradito la musica proposta. In questa occasione ho fatto da interprete, prima tra il nostro organista ed il mio collega di conservatorio, e poi per tradurre in tempo reale cosa dicevano il parroco ed il sindaco. Tutti felici e pieni di ricordi ci siamo salutati con la promessa di ricambiare la visita l’anno prossimo. Il nostro direttore già pensa al programma da proporre, mentre la sottoscritta fa pressione per l’organizzazione logistica (albergo, bus, visite guidate).

il mio paesino d'adozione

In due momenti della visita mi sono particolarmente divertita: 1- quando il mio compagno di studi ed il presidente del coro sono venuti a trovarmi a casa, con un graditissimo dono alcolico dalla terra d’origine, e provando il mio armonium ho fatto da "pedale", suonando la voce inferiore nella parte bassa della tastiera con un potente registro da 16’ (la terza mano farebbe comodo anche a me quando suono brani organistici con l’armonium), perché mi ha ricordato i tempi del conservatorio, e 2. quando sentivo i componenti del coro parlare tra di loro il dialetto con cui sono cresciuta (per modo di dire, sia perché a casa si è sempre parlato Italiano ed ho sentito il dialetto solo dai parenti, sia perché il padovano si differenzia un po’ dal quasi vicentino del coro), perché in Niederösterreich è lo stesso, non solo i vicini o i contadini, ma persino i professori universitari usano espressioni dialettali nel quotidiano. 


Nonostante le enormi differenze culturali e di mentalità da una parte e l’altra delle Alpi, che si riflettono anche nel modo di intendere la musica corale, in fondo quel che conta sono le persone, simili in tutto il mondo, che possono superare qualsiasi ostacolo linguistico e culturale facendo parlare la musica.

Saturday, January 25, 2020

Alla ricerca della "mia" parrocchia

All’inizio è stato facile, andavo a catechismo nella parrocchia veneta cui appartenevo per residenza. Non è stata un’esperienza particolarmente felice, almeno negli ultimi anni, quando andavo già a scuola in città e cambiavamo più catechisti che spazzolini da denti. Gli ultimi due, in coppia, di poco più anziani di noi adolescenti, mi mandarono a casa con questa motivazione:-ne sai più di noi, cosa vieni a rompere- La mia conoscenza derivava da una bella Bibbia a fumetti di Famiglia Cristiana regalatami dai nonni. Così colsi l’occasione al volo per risparmiarmi quell’ora al sabato di rispostine già fatte, prive pure della profondità teologica del Catechismo di San Pio X. Tanto avevo già fatto la Cresima. Seguì qualche anno di pellegrinaggi di chiesa in chiesa, bazzicando spesso dall’Arcella per la Santa Messa, vicino a dove abitavano i nonni.

L'Arcella, col suo imponente campanile.
Per un caso fortuito (no, c’era sicuramente l’intervento divino), inizia a frequentare una scuola di musica nel paese vicino che era ospitata nei locali della parrocchia attigua. Qui, l’insegnante di solfeggio mi invitò ad entrare nel coro parrocchiale che dirigeva. Fu l’inizio di un lungo periodo in cui cantavo nel coro, maturavo la mai sopita passione per l’organo e frequentavo la parrocchia, almeno per la Santa Messa. Poi il direttore di coro ruppe col parroco, la scuola di musica si trasferì altrove ed io… entrai in conservatorio per studiare organo. Avevo bisogno di uno strumento ove esercitarmi. Dopo varie ricerche, approdai nella chiesa principale del mio paese, l’unica dotata di un organo a canne decente (non eccelso, ma suonabile). Il parroco dell’epoca mi definì “manna dal Cielo” per il servizio offerto, ossia accompagnare i canti a messa, prima al mattino presto e poi nella messa di “serie B”, come lui stesso definì la vespertina perché prevalentemente frequentata da gente fuori parrocchia, ma mi disse pure che per lui potevo pure essere musulmana, perché non ero “della sua parrocchia”. La differenza era di ca. 1 km in linea d’aria, il paese è diviso soltanto dalla ferrovia, altrimenti sarebbe un continuum di case. Niente da fare. Ne consegue che andai a suonare per 10 anni, senza mai “frequentare” la parrocchia. Non conoscevo nemmeno gli altri organisti, quando proponevo un incontro veniva l’orticaria al parroco. Vedevo più spesso l’organaro (termine locale per definire il costruttore e restauratore di organi a canne) dei colleghi. Grazie alla musica, ho avuto modo di conoscere parrocchie diverse del circondario, ma in tutte la risposta era sempre la stessa: non sei della nostra parrocchia, quindi presti un servizio e fine. Paradossalmente, negli stessi anni mi sono sentita più accolta dalla comunità luterana di lingua tedesca, presso la quale accompagnavo il culto nei mesi di picco turistico.

Arrivò il momento di lasciare l’Italia. A Vienna mi ritrovai a pagare le tasse per la Votivkiche ove non andavo a messa, sia perché all'inizio faticavo a comprendere il parroco maltese e sia perché d’inverno vi ci si gelava. Preferivo la comunque vicina Alserkirche, il cui parroco di origine parimenti straniera era più comprensibile e l’architettura barocca tirolese più familiare. Presi pure parte a qualche iniziativa culturale della parrocchia. Come organista suonavo in diverse chiese della città, ma nessuna mi dava l’impressione di posto accogliente. Entrai nel coro della Lutherische Stadtkirche per l’opportunità di prendere parte all’esecuzione di cantate di Bach, ma per un periodo mi sono sentita più legata a questa comunità di quanto non fossi alla mia parrocchia di residenza.

Alserkirche.
Poi mi trasferii per lavoro a Bruxelles. Il primo anno mi appoggiai ad una della comunità cattoliche italiane. La scusa fu sempre l’organo, anche se durante la messa suonavo un armonium datato per “accompagnare” il grattaform… ehm… il chitarrista (che in realtà se la cavava bene nel suo repertorio e cantava egregiamente, semplicemente non era il mio stile) ed il coretto delle signore. Col trasloco un po’ in periferia ed il cambio del missionario, sospesi la frequentazione. Provai ad inserirmi nella mia “parrocchia”, ma ero (e resto) allergica al francese e la comunità fiamminga era in via di estinzione (il più giovane a messa avrà avuto 70 anni e non era il celebrante). Per illuminazione divina scoprii la comunità cattolica di lingua tedesca. Non solo la chiesa (una cappella minimalista, moderna, ma accogliente) era relativamente vicina, non solo potevo andare ad esercitarmi su un organo meccanico, ma l’intera comunità si è rivelata assai accogliente, pure nei confronti di una straniera che balbettava la loro lingua. Sono entrata nel gruppo degli organisti, poi nel coro ecumenico e saltuariamente partecipavo ad altre iniziative della comunità. Per due anni ho fatto esperienze musicali e religiose istruttive e divertenti. Frequentavo la parrocchia anche quando non dovevo suonare e, dopo aver iniziato a capire bene il parroco tedesco, ho cominciato anche ad apprezzare le sue prediche. Una comunità moderna, colta e pure affettuosa (caratteristica che forse non mi sarei aspettata dai tedeschi).

Infine, quasi quattro anni fa sono tornata a Vienna. Da allora sono alla ricerca della "mia" parrocchia. Ora pago le tasse per l’Alserkirche (per residenza), ma ci vado raramente, complice il cambio di parroco, molteplici variazioni dell'orario delle messe e l’accoglienza della scismatica comunità italiana, per tacere dei frati dalle prediche fantasiose (dalle agiografie alle barzellette anti-Germania) od incomprensibili (sono anch’io straniera, ma leggere un testo senza capirlo è triste). Ho provato ad entrarci offrendomi come organista, senza successo. Vado più spesso nella Votivkirche, ove finalmente comprendo il parroco maltese ed apprezzo la sua umanità. Ciononostante non riesco ad inserirmi nella vita parrocchiale e non me ne sento parte. Come organista ho ricominciato i giri per le chiese della città ed ho trovato posti simpatici con parroci interessanti (come nella Canisiuskirche e nella St. Johann Kapistran) ed altre scostanti (come Alt-Simmering), tutte con degli strumenti divertenti da suonare, ma in nessuna mi sono sentita invogliata a far parte della comunità.

La ricerca continua. Non mi basta trovare un parroco dalle prediche interessanti ed illuminanti. Per questo basterebbe trovare delle riflessioni su internet. Vorrei trovare una comunità cui far parte, nel mio piccolo, in cui conoscere persone di diversa età ed origine con cui discutere di società, cucina, viaggi, ma anche di teologia (per quel che mi permette il mio tedesco limitato in campo filosofico). Troverò la "mia" prima o poi tra le decine di parrocchie della città...

Sunday, November 24, 2019

Ode al tempo di pensare

Per un bel po' di tempo non ho scritto nulla sul blog. Non avevo niente da dire? Non proprio. 

Volevo parlare di Venezia, mentre tutto il mondo aveva gli occhi su Piazza San Marco, per raccontare che  la città comprende anche isole ed aree meno note, ove vivono e lavorano persone in carne ed ossa, che non hanno dormito notti intere per cercare di salvare il salvabile dalle proprie abitazioni o attività commerciali. Come anche a Chioggia, sospesa sulla laguna come Venezia ma meno nota.

Il Pensatore alla VUB
Volevo parlare di amore, relazioni sociali e situazioni complicate, ispirata dall'opera "Ariodante" di Händel, vista alla Staatsoper, ove ci si rende che l'epoca in cui viviamo non è affatto differente da quelle che ci hanno preceduto dal punto di vista dei rapporti interpersonali. Causa di tutto è sempre la comunicazione carente, specialmente da parte maschile. 

Volevo parlare delle donne in geologia, il tema è tornato preponderantemente nella mia vita sia causa un'accesa discussione su una mailing list internazionale cui sono iscritta, sia dopo un'esperienza non proprio esaltante in un gruppo dominato da maschi, alcuni dei quali decisamente all'antica, nonostante la giovane età. Non ho ragione di lamentarmi, a parte un collega tedesco, tra le persone attorno a me e tra i miei capi non ho al momento persone tanto grette. Stupisce che ci sia ancora una tale diffusione di pregiudizi simili, specialmente nelle nuove generazioni, pure nordiche. 

Volevo parlare dell'ipocrisia nella lotta al cambiamento climatico, che si traduce in parole d'odio invece che in azioni e che demonizza la plastica senza rendersi conto che in molte situazione il suo uso (corretto) ci ha agevolato e talvolta salvato la vita. La mia personale ricetta sarebbe di eliminarne l'uso superfluo, di riciclare il possibile, di incentivare l'uso dei mezzi pubblici (più facile a Vienna, ove funzionano!) e della bici (a pedale tradizionale, così si risparmia pure sulla palestra), di ridurre il consumo di carne e di alimenti esotici (essere vegani può portare a cercare sostituti che non crescono alle nostre latitudini) e di risparmiarsi maledizioni ed accuse al prossimo, che contribuiscono solo a farci produrre più CO2 dalla rabbia.

sulla strada
Volevo parlare del diverso concetto di educazione e di rispetto a seconda della zona del mondo da cui si proviene, ispirata da un episodio osservato anni fa su un autobus, ove due ragazzi africani non si sono accorti di essere guardati male perché parlavano a voce alta e si tagliavano le unghie dei piedi, ma si sono prodigati ad aiutare un anziano confuso che invece noi europei abbiamo volutamente ignorato. Anche l'ennesimo viaggio in Giappone mi ha fornito spunti per riflettere sul concetto di educazione. Con tutta l'attenzione dei Giapponesi all'ambiente che ci circonda, ci sono degli usi che a noi sembrano maleducati, ma che per loro sono normali e viceversa (per loro succhiare il brodo e per noi soffiarsi il naso in pubblico).

Tutto ciò per mostrare che gli argomenti non mi sono mancati e non sempre "politically correct". Sono stati frutto di riflessioni nei momenti "morti", come durante un viaggio in metropolitana più lungo del solito (invece di immergersi nello smartphone) oppure aspettando che si sblocchi la porta della lavatrice a fine lavaggio. In realtà, lo scopo di questo post è proprio esaltare quei minuti in cui la mente vaga seguendo connessioni altrimenti difficili da immaginare, collegando fatti avvenuti e la formazione di una propria opinione a riguardo. Nel silenzio dell'isolamento volontario pure in mezzo alla folla. Lode al tempo di "oziare" nei propri pensieri! Tempo preziosissimo, purché resti un istante e non prenda il sopravvento sull'azione.

Friday, November 9, 2018

4.11.1918 chi ha vinto?

Domanda provocatoria per una ricorrenza esaltata in Italia ed ignorata in Austria. Vado con ordine. Esattamente un secolo fa venne firmato, a pochi km da dove sono cresciuta, l'armistizio tra l'impero austro-ungarico in via di dissoluzione e l'acerbo regno d'Italia. Almeno sul fronte alpino e padano orientale, la guerra era terminata. A distanza di cento anni, mentre il Presidente della Repubblica ricordava l'evento a Trieste, la sottoscritta con altri due veneti attraversava il confine a Tarvisio in direzione Austria e con un'auto targata Vienna.

Bandiere ora vicine, cima Vezzena.
La prima guerra mondiale è stata una tragedia, come tutte le guerre, il fronte belga andrebbe fatto vistare obbligatoriamente a tutti gli antieuropeisti! Nel Nord-Est la ferita è ancora particolarmente sentita. I monti sono disseminati di forti militari di entrambi gli schieramenti ed ormai semi-distrutti, di gallerie e trincee, di depressioni del terreno di natura antropica e di ossari monumentali. Sull'autostrada, al viadotto sul Piave si legge la didascalia "fiume sacro alla Patria". Suona retorico, lo è, ma le battaglie sulle sue rive hanno segnato la riscossa italiana dopo la sconfitta di Caporetto. Gli austriaci, a distanza di cento anni, ricordano solo la caduta dell'impero, invece di celebrare l'inizio della repubblica, parecchi anni prima dei vicini italiani e tedeschi. L'Austria di oggi ha un atteggiamento particolare verso le guerre, molto diverso da quello dei tedeschi di Germania. Nella prima hanno vinto a Caporetto contro i traditori italiani e nella seconda si sono sentiti vittime.

Trincea dal lato austro-ungarico. Lavarone, Italia.
Sono tornata a Vienna con una tempesta di sentimenti. Da un lato l'orgoglio dell'origine veneta, con il desiderio di far ingoiare loro la spocchia mai sopita di considerarci una colonia di inferiori (infatti Galileo è venuto da noi!), dall'altro l'umiliazione di dover andare all'estero, proprio in questo paese, perché il mio non mi ha mai fatto sentire accolta e non mi ha permesso di ripagare l'investimento culturale con i risultati scientifici. Tale conflitto interiore deve aver fatto soffrire anche Salieri, che è stato dipinto come un malefico invidioso, nonostante fosse considerato un fine compositore nella sua epoca. La stessa divisione è palese nei Trentini montani di oggi che da un lato ricordano con nostalgia l'Austria e dall'altro difendono strenuamente l'Italia (come ho già scritto).

Chi vinse un secolo fa? Nessuno. Tutti perdono qualcosa quando si arriva ad una guerra. La vittoria sarebbe imparare dalla storia e non ripetere, ma sappiamo che ciò non è successo e che dalla prima guerra mondiale si è scivolati rapidamente nella seconda, complici anche un'epidemia d'influenza ed una pesante crisi economica. A distanza di generazioni, quanti ragazzi del sud hanno visitato le cicatrici della prima guerra mondiale sulle nostre montagne? Quanti sanno che i loro nonni o bisnonni sono stati spediti nel nord a combattere per un paese che non sentivano proprio ed in condizioni che non avrebbero mai immaginato, fianco a fianco a gente che parlava un'altra lingua? Ecco, come ha detto qualcuno, forse l'unica "vittoria" di quel conflitto è stata quella di "fare gli Italiani". Come gli austriaci, però, ce ne siamo dimenticati.               


Saturday, September 23, 2017

Lumie di Sicilia e spritz veneziani

Dopo tanti anni, quasi 20, sono tornata nella terra di mia madre, la Sicilia, ma né in visita ai parenti né in vacanza, bensì in escursione vulcanologica come ospite di un gruppo di professori e studenti dell’università di Vienna. La nostra comitiva era alquanto variegata, comprendendo oltre a due professori (il vulcanologo di origine greca che andrà in pensione a settimane ed il direttore di dipartimento, petrologo), due postdoc (la sottoscritta e la mia collega d’ufficio tedesca ed originariamente vulcanologa), un dottorando americano, quindici studenti austriaci (tranne due altoatesini e quindi ufficialmente italiani ma di madrelingua tedesca) di età compresa tra i 22 ed i 30 anni, più due sopra i 60 anni al secondo titolo ed una 47enne neolaureata (seconda laurea), e l'organizzatore, un post-doc di Ferrara, al quale si sono aggiunti alla fine un prof. di Ferrara e per un giorno un prof. di Catania. In questi giorni ho respirato e mangiato Sicilia, ricordando gli anni dell'infanzia ma guardandola con gli occhi di adesso, un po' come nella novella di Pirandello citata nel titolo, senza finale tragico, ovviamente.

Giorno 1
Se "il buongiorno di vede dal mattino" siamo partiti male, molto male. La fedele S7 che doveva portare me e la collega tedesca all’aeroporto è stata cancellata per causa sconosciuta (molto probabilmente un suicidio). Siamo quindi ricorse ad un taxi, condiviso con uno sconosciuto con valigia che si è rivelato essere un fisico e che si è accollato il costo del viaggio mettendolo in nota spese all'università. Solo al gate abbiamo incontrato il resto del gruppo, tutti più o meno condizionati dalla cancellazione del treno veloce. Il confortevole volo Austrian ci ha permesso di gustare le Eolie e l'Etna dall'alto. A Catania l'ordinario caos alla consegna dei bagagli e nel parcheggio, ma il van prenotato ci stava aspettando e con una bella passeggiata lungo la costa orientale sicula siamo arrivati a Milazzo. Appena dopo pranzo ci siamo imbarcati su un aliscafo con meta Lipari. Qui ci siamo trovati in una deliziosa pensione, degna di un film, ove abbiamo ascoltato le presentazioni di alcuni studenti prima di immergerci nell’atmosfera estiva e turistica della città per la cena.

Giorno 2
Tre piccoli van ci hanno portato in giro per l’isola, siamo scesi alla spiaggia attraversando la mia prima sequenza vulcanica, abbiamo ascoltato musica popolare locale ed abbiamo assaggiato i fichi d’india (entrambe le cose a me stranote), abbiamo visto una ex miniera di pomice e ci siamo arrampicati sulla tagliente ma magnifica ossidiana. Per sera abbiamo preso l’aliscafo per Salina ove abbiamo cenato magnificamente a base di pesce. Cena rovinata solo dalla notizia che l’aliscafo dopo il nostro si era schiantato sugli scogli. Avremmo potuto terminare l'escursione già al secondo giorno, in ospedale! Per la notte ci siamo divisi, alcuni in hotel, noi con gli studenti in tre appartamenti in collina, dalla vista magnifica ma relativamente lontani dal porto e dall’albergo ove facevamo colazione.

Giorno 3
Al mattino altri van ci aspettavano per portarci alla partenza della salita sulla cima del vulcano spento monte Fossa delle Felci, il più alto rilievo delle Eolie. Una sfacchinata istruttiva e premiata in vetta da un panorama mozzafiato su tutte le altre sei isole. La visita è continuata nel pomeriggio a Pollara, ove hanno girato il film “il Postino”. A parte per la scienza e per il mare, il posto mi ha intenerito per la genuinità. La frenesia dei tempi moderni sembra non essersi mai arrivata quaggiù: quattro case, una chiesetta, un chiosco di bevande, tre ragazzini che giocano a palla sul sagrato della chiesa, una donna anziana con una bambina, potevano anche essere gli anni '50.

Giorno 4
In mattinata avremmo dovuto prendere l’aliscafo per Stromboli, ove saremmo dovuti salire in vetta in notturna. Uso il condizionale perché il programma ha dovuto subire un repentino cambiamento: causa scirocco, circolazione per Stromboli interrotta. La nostra guida ha provato a trovare una barca privata, ma non davano l’autorizzazione a partire o ad attraccare. Quando è stato chiaro che non saremmo partiti in giornata e che dovevamo cancellare il giro a Stromboli perché il vento sarebbe continuato per giorni, siamo tornati in albergo, che per fortuna aveva ancora le nostre camere libere. Nel pomeriggio abbiamo fatto un giro geologico a piedi tra le enigmatiche sequenze vulcaniche di Salina appena dietro l’hotel.

Vulcano
Giorno 5
Pur di non rimanere bloccati di nuovo a Salina, abbiamo preso il primo aliscafo alle 6:30 del mattino sotto una pioggia battente. Il padrone dell’hotel ci ha aiutato con i bagagli caricandoli sulla sua ape. Meta Vulcano, ossia isole interne, più protette dal vento. A Vulcano siamo giunti all’albergo tramite la spiaggia, inalando a pieni polmoni… zolfo. In mattinata siamo saliti sulla cima più alta dell’isola, Vulcano della Fossa, ove ci ha colpito un forte vento che ci ha inondato di sabbia e che rendeva difficile anche lo stare in piedi. Nella discesa la nostra guida si è sfortunatamente storta una caviglia, facendoci preoccupare non poco. Per fortuna nulla di grave. Nel pomeriggio abbiamo visitato un centro informativo dell’ingv, ove lo "spettacolo" è stato per me capire sia le sommarie spiegazioni in italiano di una studentessa volontaria sia la traduzione in inglese della nostra guida, che così ha salvato il salvabile.

Giorno 6
Avremmo dovuto prendere l’aliscafo in tarda mattinata, ma sempre causa mare mosso siamo potuti partire solo nel pomeriggio, aspettando per ore al porto. Il viaggio è stato animato da mare mosso, con l’aliscafo che andava con la punta sotto l’acqua per poi emergere per metri verso il cielo. Per caso mi sono trovata come vicino un simpatico signore originario della Sicilia e da anni a Zurigo, con cui chiacchierare sia in tedesco sia in italiano. A dispetto dei timori siamo arrivati tutti sani e salvi a Milazzo, ove il pullmino ci aspettava per portarci sull’Etna. Prima di raggiungere il rifugio Ragabo con l'oscurità, ci siamo fermati alle magnifiche gole dell’Alcantara, tra spettacolari basalti colonnari, ed abbiamo attraversato deliziosi paesini abbarbicati sulle alture, un panorama da presepio.

Giorno 7
Siamo stati raggiunti dal prof. di Ferrara che avrebbe dovuto organizzare il tutto, da un prof. di Catania e da due ricercatori dell’INGV. Con due jeep ed un pullmino VW siamo saliti fino 3000 m tra le vecchie colate per poi proseguire a piedi fino in vetta, a 3330 m slm. Il vento e la quota tagliavano il respiro, oltre ai gas in cima, raggiungibile proprio grazie al vento che li spazzava in direzione opposta a noi. Altrimenti avremmo rischiato di fare una fine simile a quella della famiglia a Pozzuoli. Durante la discesa ci siamo fermati per osservare la Valle del Bove e per vedere come vengono campionati i gas emessi dal vulcano. Nel tardo pomeriggio, iniziando ad avere un fastidioso mal di gola ed arrabbiata per alcune notizie da Vienna, ho fatto un giro di sfogo con due colleghe austriache, osservando una quasi recente colata.

Giorno 8
Dopo una breve visita ad un un lava tube impressionante, nelle vicinanze del rifugio, siamo scesi col pullmino ad Aci Trezza, passando dai 0°C della vetta dell'Etna ai 33°C a quota mare. Qui abbiamo visto i faraglioni di trachi-basalti colonnari, segno della prima fase eruttiva dell’Etna, e della lava a cuscini presso Aci Castello, ove mi sono goduta l'ultima granita con brioche per pranzo. Nel pomeriggio siamo andati a Catania e mentre i colleghi visitavano una stazione dell’INGV, la collega tedesca, una studentessa ed io siamo andate in aeroporto, non senza aver visto i principali monumenti del centro. In serata abbiamo preso un volo Ryanair verso Treviso, con nello stomaco un arancino e negli orecchi l'ennesima discussione tra passeggeri ed addetti della compagnia per i bagagli (noi eravamo in regola). Come tratta e come orario ci è convenuto, ma quando possibile evito questa compagnia, nonostante sia la prima che mi abbia portato in aria tanti anni fa. A Treviso ci hanno accolto pioggia e freddo, fine dell'estate.

Catania
Giorno 9
A questo punto era chiaro che il mio mal di gola fosse solo il preludio di un potente raffreddore. Indisposizione a parte, ho portato la collega tedesca alla scoperta di Padova, città secondo me sottovalutata, ricca di storia e di angoli meravigliosi. Dopo il viaggio in USA non posso che apprezzare sempre di più l’Europa. C’è stato pure il tempo per una passeggiata a Montegrotto, per un gelato, nonostante qualche goccia di pioggia, per una pizza con un amico ed ex-compagno delle elementari e per godermi i miei genitori ed il nostro gattone.

Giorno 10
Ho portato la collega anche a Venezia, ove abbiamo preso una solenne lavata. La città è comunque sempre magnifica, con la pioggia, con la nebbia o col sole. Per pranzo ho bevuto finalmente uno spritz come si deve, scambiando due chiacchiere con la barista del posto, incastonato tra il Ghetto e le Fondamenta, ove il grosso dei turisti non arriva. Cena in casa, condita da medicina e rimedi della nonna, perché il raffreddore era piuttosto pesante.

Giorno 11
Ultimo giorno in Italia. Un magnifico sole ha illuminato un breve giro tra i miei colli, tra monasteri e vigneti. Nel pomeriggio la collega ed io ci siamo avviate in treno verso Vienna. Sapevamo già che la linea era interrotta causa lavori, ma l’organizzazione austriaca ci ha piacevolmente sorpreso. A Mürzzuschlag ci attendevano tre capienti autobus che velocemente ci hanno portato a Wiener Neustadt da cui abbiamo continuato con un veloce Railjet, arrivando a Vienna in perfetto orario. Bentornate in Austria!

filosofia nostrana
Considerazioni finali.
È sempre strano vedere i luoghi da cui si proviene e dove si è cresciuti con gli occhi del turista. Se ne apprezza finalmente la bellezza e si comprendere il perché tanti attraversino gli oceani per farvi una visita. Si prova anche l'amarezza di vedere la patria "sì bella e perduta", nel senso di trascurata, di non funzionante come potrebbe, oltre alla consapevolezza dell'impossibilità del ritorno. Per i compagni di viaggio è stato sicuramente differente. Loro hanno visto un luogo di vacanze ove vorrebbero sicuramente tornare. In questo senso, il lavoro delle Eolie in campo turistico è lodevole.
Questo viaggio ha fornito a tutti anche l'occasione di confrontarci con i nostri pregiudizi, tra nord e sud ed Italiani e stranieri. Abbiamo anche potuto verificare quanto alcuni luoghi comuni corrispondano a verità. In Sicilia si vive ancora con i ritmi della natura, senza stress, prendendo quel che viene, mentre nel nord ci bagniamo letteralmente prima che piova, andando nel panico se qualcosa non funziona come programmato. 
Dal punto di vista scientifico ho imparato molto. Avevo già visto molti dei posti visitati, ma prima di studiare geologia e soprattutto senza una guida vulcanologica. Ciò che ho intuito di straforo dall'ambiente accademico italiano, però, ha tristemente confermato l'impressione che mi sono portata dietro otto anni fa. L'Austria non è il paradiso della ricerca, ma almeno un minimo di meritocrazia è riconosciuto e valorizzato ed il rapporto con i docenti è basato sul rispetto reciproco. Certe idee sono talmente radicate in Italia che si tramandano inconsciamente. A pagare è la nostra generazione, sospesa tra precariato e tempo che passa.

Saturday, September 2, 2017

Posti che non esistono più: la casa dei nonni

I miei nonni avevano radici in Veneto ed in Sicilia. La casa della nonna a Lentini (SR), poiché il nonno era mancato prima che io nascessi, è più pallida nei miei ricordi, ma ben presente. Quand'ero piccola andavo in Sicilia tutti gli anni, un anno in treno con la mamma ed un anno con entrambi i miei in camper (o roulotte all'inizio). Ricordo la stradina laterale che proprio davanti all'ingresso del caseggiato si tramutava in scalinata fino quasi la piazza centrale del paese. L'ingresso dava su un cortile dominato da un albero di fico. C'era una scala su cui si aprivano diversi ingressi. Tipica struttura di casa siciliana del XVII secolo. L'ultimo ingresso, in cima alle scale, con un terrazzino davanti, era quello della nonna. Appena entrati si notavano la penombra (Sicilia d'estate...) e la frescura (data dallo spessore dei muri). In ingresso c'era un salottino di paglia. Poi di fronte c'era la cucina,relativamente grande, specialmente rispetto la nostra. Dopo la cucina sulla destra c'era la camera della nonna e poi il salotto. Ove c'era il salotto si trovava una volta la camera dei nonni. Il salotto era di velluto blu.
Vecchia cartolina di Lentini. dal web.
La stanza aveva una porta finestra che dava su un balconcino affacciato sulla scalinata sottostante ed uno stanzino, forse pensato come un guardaroba dal costruttore. In fondo al corridoio c'era il bagno. Sulla sinistra la stanza dove per un certo periodo dormiva mio zio, la scaletta per andare in terrazza ed uno spazio in cui ricordo di aver giocato con uno dei miei cuginetti. La terrazza sul tetto era grande quanto l'appartamento, c'era anche una stanza chiusa che non ricordo e la cisterna per l'acqua. Lentini non è in piano e man mano che si sale diminuisce la pressione nelle tubature dell'acquedotto, specialmente durante il giorno quando aumenta la richiesta. Per questo quasi tutti avevano una cisterna sul tetto che si riempiva durante la notte e garantiva il flusso d'acqua diurno. Chissà se nel frattempo hanno risolto il problema. Il ricordo della casa è strettamente legato a quello della nonna, che da piccola mi ricordava la regina Elisabetta d'Inghilterra, non solo per come portava i capelli brizzolati e mossi, ma anche perché nelle grandi occasioni aveva un gusto particolare per vestirsi, spesso indossando graziosi cappellini in stile... regina Elisabetta. La casa fu pesantemente danneggiata col terremoto del 1990 e ci vollero dieci anni per risistemarla. Non la volli vedere con le travi di sostegno ed i muri squarciati. Non credo di averla vista dopo il restauro, non sono più andata in Sicilia per parecchio tempo. Dopo la morte della nonna la casa è stata venduta.

I nonni di Padova vivevano nella casa costruita (o fatta costruire) dal bisnonno, con aggiunte fatte dal nonno. Per la vicinanza e per averla frequentata più a lungo, me la ricordo benissimo. L'ingresso, rialzato, aveva un pavimento in pietra scura sempre perfettamente lucidato. Alle pareti c'erano la pendola ed un guardaroba con specchiera fatto dal nonno (falegname). Di fronte c'erano la scala per andare al piano di sopra e la porta per accedere al laboratorio del nonno ed al bagnetto annesso, mentre a sinistra si andava in cucina ed a destra in tinello. La cucina era spaziosa, con un grande tavolo coperto di materiale plastico rosso ed i mobili chiari. A destra c'era la vecchia macchina da cucire della nonna (sarta). Tra le finestre il mobiletto ove troneggiava il televisore, sotto l'ultima finestra l'angolo della prozia (ricamatrice), con i suoi filati. 

Vecchia cartolina dell'Arcella, dal web.
La cucina vera e propria, ossia dove si cucinava, era uno stanzino con ampio lavello e soprattutto la vecchia stufa a legna, che la nonna usava anche per fare la polenta. Ovviamente era dotata di moderni fornelli a gas e forno, ma d'inverno si accendeva comunque la stufa. Il tinello, invece, era un'imponente sala da pranzo, circondata dai divani da salotto, originariamente di un velluto beige ma sempre coperti da dei teli blu con fiorellini rossi per proteggerli dalla polvere. Al piano di sopra c'erano le camere, quella della prozia con due letti singoli, ove dormii anch'io, e quella dei nonni con letto matrimoniale. Dai comodini agli scuri delle finestre, era tutta opera del nonno. La prozia aveva anche due rumorosissime sveglie a carica manuale e le foto dei bisnonni in formato gigante appese alle pareti. Tra le due camere si apriva un piccolo terrazzo su cui andavamo la sera d'estate. Con un corridoio sospeso, aggiunto in seguito, si raggiungeva il retro della casa, più recente. Qui c'erano la cameretta che una volta era di mio padre, poi adibita a magazzino, la camera che era di un'altra prozia, mancata quand'ero piccola, ed il bagno nuovo con vasca. Il laboratorio del nonno aveva il pavimento a pietroni, perennemente coperto di trucioli di legno, un'enorme tavolo da lavoro con delle altrettanto grandi morse e tutti gli attrezzi distribuiti attorno. Dal laboratorio si accedeva a quello che chiamavano garage, anche se non c'erano solo le vecchie bici e strumenti di lavoro vari. Ho preso in prestito spesso la bici della nonna, con i freni a bacchetta. Vi ho girato tutta Padova, specialmente il centro, benedicendo l'antico ciottolato. Dietro la casa c'era un grande giardino, con la roulotte dello zio ed una parte destinata ad orto. Lì per la prima volta ho assaggiato i piselli crudi, direttamente dal baccello. Avevo imparato a conoscere i vicini e soprattutto le anziane amiche della nonna e della prozia, oltre alle altre anziane conoscenti sulla via verso la chiesa di San Carlo, ove si andava sempre a piedi.  Se ne sono andati prima il nonno, quand'ero ancora alle medie, poi la nonna, quand'ero già all'università, e poco dopo anche la prozia. La casa è stata presa dallo zio, che l'ha riedificata dalle fondamenta. Anche gli edifici attorno sono cambiati, al posto di alcune cantine c'è un palazzone da 27 appartamenti. La stradina sterrata da cui si accedeva al cortile è stata asfaltata. Il quartiere è cambiato, non è più quella prima periferia tranquilla che conoscevo. 

La casa dei nonni, con i suoi rumori ed odori, esiste ora solo nei ricordi, stimolati da qualche oggetto rimasto. Un giorno sarà così anche per la casa ove vivono i miei? Probabilmente sì. Negli ultimi 8 anni ho cambiato 5 case in tre nazioni e l'appartamento ove vivo al momento è di durata precaria come il mio lavoro a Vienna. La casa ove sono cresciuta è ancora lì, si modifica col tempo in base alle esigenze, ma temo che non andrò mai ad abitarci. Sarà un grande dispiacere cederla a qualcun altro o alle ruspe. I miei hanno dovuto lasciar andare le case ove sono nati. Un giorno, forse, mi farò anch'io una casa come hanno fatto loro o comprerò un appartamento o forse continuerò a vagare. Non ho mai sognato una casa mia.